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Monthly Archives: luglio 2018

Come la pioggia

Sulle montagne artiche. “Il pastore d’Islanda” di G. Gunnarsson

Gunnar Gunnarsson, Il pastore d’Islanda, Iperborea, Milano, 2016 (prima edizione) Recensione di Chiara Rantini Il pastore d’Islanda è un racconto lungo in cui si narrano le vicende di Benedikt, un uomo di 54 anni che, ormai da 27 anni, all’inizio di ogni inverno, nel periodo dell’Avvento, lascia la costa islandese dove abita per addentrarsi sugli […]

Boris Borisovič Ryžij. L’ultimo poeta sovietico e il primo di nuova generazione

di Chiara Rantini Quest’anno ricorre il ventennale della morte del poeta russo Boris Borisovič Ryžij. Molto conosciuto in patria, in Europa e soprattutto in Italia, è noto solo agli addetti ai lavori e a chi s’interessa di letteratura russa contemporanea. Poeta di un’epoca di transizione, resta ai margini proprio perché difficilmente inquadrabile in un movimento […]

“Qualcuno si ricorderà di noi”, un testo teatrale di Alessia Pizzi

Alessia Pizzi, Qualcuno si ricorderà di noi, testo teatrale, Fusibilia Libri, 2020 Ispirandosi all’antichità greca, Alessia Pizzi ci conduce in una pièce di un solo atto a colloquio con tre poetesse di età ellenistica: Erinna, Anite e Nosside. Vittime di un ingiustificato oblio, l’autrice compie la lodevole operazione di portare all’attenzione dei lettori la loro […]

Stefano Fortelli e la dark-poetry

INTERVISTA a cura di Chiara Rantini Chi è Stefano Fortelli? Quando ha avuto inizio la passione per la scrittura e perché? Ammesso che Stefano Fortelli esista, oggi è in larga parte la personalità che si evince dai suoi scritti. Ho cominciato a scrivere circa sette anni fa, ma non mi sento appassionato di scrittura più […]

COCCI DI BOTTIGLIA, silloge di Benedetto Ghielmi

Benedetto Ghielmi, Cocci di bottiglia, 2000diciassette ed., 2020 Cocci di bottiglia è la prima raccolta poetica di Benedetto Ghielmi, autore molto attivo nel panorama degli scrittori emergenti. Già dal titolo, si ha la sensazione di entrare in un mondo frantumato dove però, l’intenzione del poeta è quella di ricomporre ciò che è andato in pezzi. […]

I LUOGHI DEL ROMANZO: LA FORESTA

LA FORESTA

La foresta in tutte le culture e tradizioni ha sempre rappresentato l’inconscio, la parte oscura che alberga nell’anima di ciascuno di noi. Essa infatti con i suoi fitti alberi nasconde la presenza dell’ignoto, di ciò che potenzialmente potrebbe rappresentare un pericolo, di ciò che non è conosciuto. Simboleggia una condizione esistenziale in cui i personaggi di una storia vengono messi alla prova. Perciò, nella foresta, sono presenti infiniti sentieri e soltanto alcuni conducono alla meta.

Così, per Janis e Lena, la foresta rappresenta il luogo dove emergono i contrasti e le incomprensioni nella loro relazione. La foresta riporta Janis indietro nel tempo, al ricordo doloroso della sua infanzia che ancora lo opprime. Lena invece, nella foresta, perde il suo orientamento interiore e rischia di smarrirsi.

Ciononostante, la foresta resta un passaggio obbligato verso una possibilità di cambiamento. Se, per Janis, all’inizio, non lo è affatto, diversamente è per Lena che trova il coraggio di camminare in solitudine, nella notte, attraverso una foresta sconosciuta, mettendo da parte i propri timori, per il bene di Janis.

Janis era fuggito, io ero di nuovo sola. Sola, in una foresta sconosciuta mentre avvertivo chiaramente l’incedere dei passi della notte.

Questo pensiero mi risvegliò; ricercai le tracce del sentiero ma non ricordavo la direzione da seguire. Fui presa dal panico. Urlare nella foresta non avrebbe avuto alcun senso. Quindi decisi di correre incontro all’ultimo bagliore del tramonto. Correvo, cercando di creare un vuoto nei pensieri.

A poco a poco la foresta divenne più rada; il sentiero si era fatto più largo ed era coperto da un sottile strato di sabbia. In lontananza udivo il respiro del mare.

Madre e matrigna, allo stesso tempo, la foresta protegge e mette a nudo la fragilità dell’esistenza dei protagonisti. Infatti, citando un pensiero di John Muir, essa è “la via più chiara per penetrare nell’Universo”. Non a caso, nelle ultime pagine del romanzo, il viaggio solitario compiuto da Janis, prima di approdare al mare, in una deriva onirica, passa attraverso i paesaggi invernali di boschi e pianure perché camminare tra gli alberi è, per lui, l’unica azione necessaria a ritrovare se stesso.

Senza ritorno

Dopotutto le tue tracce sarebbero potute rimanere nel giardino o nella casa. Cautamente restare sulla soglia, tra il camino spento e il riverbero della luce d’estate. Lasciare almeno un’orma, l’ombra di un passo, un filo argentato come il lungo tessere di un ragno. Anche se lontane, avrei potuto raggiungerle. E invece sono scomparse come il leggero ticchettio delle tue scarpe, su e giù sulle scale.

Avvolti nel silenzio, sono divenuti incerti i miei passi quando mi imbatto in piccoli ricordi.

Scarpe, soglia e strada. Un’ombra che si dilegua. Senza ritorno.

C.R.